Carlo Dalmonte

Carlo Dalmonte

Presidente Gruppo Caviro

Il Gruppo Caviro è il primo in Italia nel comparto vinicolo con oltre 35.000 ettari di vigneti distribuiti nell’intera penisola, che producono circa 200 milioni di litri di vino distribuiti in ben 80 paesi. Numeri importanti. Come siete arrivati fino a qui?

Ci siamo arrivati passo dopo passo, grazie alla fiducia dei soci e continuando a investire. Confrontandoci e cercando di rispondere sempre ai bisogni della nostra ampia base sociale. Non ci sono segreti: la ricetta è quella ‘cooperativa’, ossia un modello fatto di identità e mandato. Caviro, come ogni cooperativa dovrebbe fare, si è impegnata ogni giorno per crescere e migliorarsi unendo le forze e puntando sulla coesione.

Per il grande pubblico il Gruppo Caviro è il vino che bevono quotidianamente. Dai brand per la grande distribuzione come il mitico Tavernello sino alle bottiglie delle cantine dedicate al circuito Horeca. Come si applica il concetto di qualità a fasce di mercato così differenti?

Il concetto di qualità va declinato per ogni segmento commerciale, non esiste una qualità unica. Tutti i vini devono essere di qualità, quello che cambia è il target. Un vino per una pausa pranzo veloce risponde a determinati requisiti, un vino da collezione ad altri, un vino da aperitivo ad altri ancora. E così via. È un concetto universale che passa dalla soddisfazione del cliente rispetto al target.

Il vino italiano è sempre stato molto apprezzato nel mondo. Ma ormai sono diversi i paesi che hanno produzioni ed etichette importanti e che si stanno ritagliando fette più o meno grandi di mercato. Quali sono i paesi più interessanti come prodotto e quali le strategie del sistema Italia per difendersi?

Se parliamo di vino, gli Stati Uniti oggi sono il mercato più grande, interessante e aperto.  L’Asia, al contrario, continua ad essere un mercato molto complicato che, fino ad oggi, ci ha dato risultati non all’altezza delle aspettative. In futuro, forse, anche l’Africa potrà rappresentare uno spazio di sviluppo. Credo però che sarà determinante, per il futuro del nostro vino nel mondo, cominciare a credere nel vino come un concreto ambasciatore dello stile di vita ‘Made in Italy’.

Allora, mi corregga se sbaglio, Caviro produce ottimi vini, con quello che rimane dei grappoli ci fate acido tartarico e alcol, il resto viene trasformato in energia. Tutto questo fa sì che siate un’azienda ad impatto zero dove tutto si riutilizza. Sembra il sistema perfetto sia per l’ambiente che per l’economia. Ma è possibile?

Non solo possibile ma è anche conveniente. Tra l’altro all’ambiente e all’economia, almeno per noi, si aggiunge il terzo pilastro della sostenibilità che è quello che riguarda la coesione sociale. Perché il nostro reddito viene diffuso su migliaia di soci agricoltori che, in questo modo, portano avanti le loro aziende agricole creando lavoro e quindi coesione sociale.

L’economia circolare riguarda anche il sapere e la cultura. Questo concetto, che non solo è condivisibile ma che dovrebbe trovare spazio in ogni sistema economico, è sostenuto dal vostro Gruppo attraverso una serie di iniziative legate alla formazione.

«È impossibile immaginare un’impresa competitiva senza formazione. La formazione è uno strumento indispensabile per la competitività sia presente che futura. Formarsi significa essere preparati per l’oggi e per i futuri cambiamenti e non c’è alcun dubbio che ogni impresa abbia bisogno di poter contare su una squadra allenata e formata ai massimi livelli.

 

 

Nel vostro comparto come si muove attualmente il mercato del lavoro? Da quanto si percepisce, sono molti i giovani che si avvicinano al mondo della produzione vinicola.

«Il mercato del lavoro è cambiato rapidamente e in modo netto. Oggi appare evidente (e piuttosto sorprendente…) la minore ‘attrazione’ che il posto di lavoro esercita sui giovani e meno giovani. Le ragioni di questo cambiamento non sono riconducibili ai soli sconvolgimenti degli ultimi due anni ma vanno indagate più in profondità. Il mondo del vino, al contrario, continua ad attirare e appassionare i giovani. Questo, a mio parere, è la diretta conseguenza di un dinamismo e di uno ‘stile di vita’ che identifica la nostra identità mediterranea che, in un mercato davvero globale, suscita interesse, curiosità e anche attrazione. Sta a noi operatori continuare a capitalizzare questo grande valore.

Il gruppo Caviro occupa oltre 500 persone che rappresentano figure professionali differenti con esigenze e caratteristiche eterogenee. In che modo Enpaia vi è stata accanto nel supporto di queste diversità?

Enpaia è una Fondazione con alle spalle quasi un secolo di storia. Una realtà con una forte identità che ha saputo dimostrare, negli anni, autonomia, lungimiranza, profonda conoscenza del settore, dei suoi cambiamenti, delle sue necessità. Ha dimostrato di saper prevedere e rispondere adeguatamente alle evoluzioni del comparto e lo ha fatto sempre con un occhio attento alle diverse professionalità che lo popolano. Quello agricolo è un settore molto particolare e soggetto a rapidi cambiamenti, come tutti i comparti che hanno un legame così stretto con l’innovazione scientifica e tecnologica. Credo che l’apporto di istituzioni come Enpaia sia determinante per il funzionamento della filiera e per il suo sviluppo.

Se per un momento chiudesse gli occhi per immaginare il futuro del Gruppo Caviro cosa troverebbe uguale e cosa invece sarebbe completamente diverso?

Troverei uguale la missione, uguali la passione e l’impegno. Riesco a immaginare una sola diversità che è anche un obiettivo: mi piace immaginare una Caviro ancora più integrata con la propria filiera e che gestisce il 100% del prodotto dei soci.

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